Blog di Roberto Blarasin, dedicato in particolare a Macerata, così come viene vista e vissuta dai Blarasin e dagli amici. Valgono le regole della comunicazione collaborativa: esplorare, comprendere, entrare in sintonia.

13 settembre 2006

Il miglior editoriale italiano dell'11 settembre 2006

Il Council on Foreign Realations non ha niente di mitico come pensa Gianni Riotta mentre intervista il suo presidente, un Richard Haass dalle idee molto confuse, e mentre guarda in bacheca il numero storico di "Foreign Affairs" con l’articolo di George Kennan sulla strategia del containment, che vuol dire tenere a freno, contenere, e anche contegno o riserbo. Nessun riserbo, nessun contegno è possibile di fronte all’islamismo politico e al suo jihad.

Il containment di Kennan, cioè l’idea che la guerra al comunismo totalitario sovietico dovesse essere fredda, aveva alle spalle la distruzione e divisione della Germania, due bombe atomiche sul Giappone e la dottrina Truman, incubatrice nel 1947 del Patto Atlantico, formidabile proiezione offensiva del mondo libero. E la vittoria nella guerra fredda arrivò quando un Papa Magno e un presidente visionario ibridarono la strategia dell’equilibrio con l’offensiva del roll back, pregando a Jasna Gora per il successo della diletta nazione polacca nella lotta per la libertà, con l’assistenza della Madonna Nera, e chiedendo a Gorbaciov, con la scorta del Pershing e dei Cruise e del Progetto di scudo stellare e dei freedom fighters afghani tra i quali Osama bin Laden di tirare giù quel muro. Containment, in relazione all’islamismo politico armato, è una metafora di quart’ordine, mentre guerra è la parola giusta.


La premessa del containment era Yalta, un patto tra vincitori, dunque cinico ma necessario, e il suo sottotesto era la sensibilità del blocco sovietico alla deterrenza atomica, l’assicurazione di una reciproca capacità di distruzione totale. L’islamismo politico non soffre la deterrenza militare, non ne ha paura, il suo regno ideologico e psicologico non è la promessa dell’eguaglianza nell’utopia ma il paradiso dei martiri che si fanno esplodere ogni giorno sul fronte iracheno e su altri fronti, e per questo l’islamismo politico deve essere sradicato stando all’offensiva con una strategia delle libertà e del regime change ovunque sia possibile, dovunque sia utile. Ieri in Iraq, domani in Iran.

Ci fu poi, a proposito di contegno, il discorso di Fulton di Churchill, equivalente alla dichiarazione di guerra al terrorismo e agli stati canaglia dell’asse del male fatta da Bush il 20 settembre 2001. Una cortina di ferro è calata sull’Europa, disse il vincitore della seconda guerra mondiale, ma in paragone è una cortina d’acciaio quella che è calata sul mondo intero dopo l’11 settembre. Anche se abbagliati dal palazzetto neoclassico in Park Avenue, e dalle buone maniere di quella che Norman Podhoretz [da leggere, ndr] chiama la vecchia aristocrazia della politica estera americana, bisogna riconoscere che in questi cinque anni chi sapeva fare ha fatto, e chi non sapeva fare ha insegnato.

Bisogna quindi piantarla di dire che in Iraq la guerra ha diffuso il terrorismo; la guerra ha abbattuto Saddam e varato un tentativo di democrazia costituzionale con tre elezioni di seguito e un governo legittimo, il terrorismo è un tentativo di rivincita, un effetto di destabilizzazione provocato dalla paura di perdere strategicamente, e questo terrorismo viene fronteggiato da inglesi e americani nel medio oriente, mentre nell’Europa del multiculturalismo il terrorismo di terza generazione viene foraggiato e incoraggiato da una linea equivoca di comprensione e di patteggiamento che cede di fronte al mito della sharia, crea una folta pletora di militanti islamisti che uccidono gli inermi e ormai un esercito di dissidenti del multiculturalismo minacciati dall’islam, entra in crisi per delle vignette, subisce gli effetti di una secolarizzazione senza principi né radici razionali e culturali il cui culmine è la rinuncia all’identità, la paura dell’identità in nome di una vaga "differenza cristiana" del dialogo e dell’amore impotente.

L’occidente è diviso, la guerra al terrorismo ha i suoi disertori e le sue battaglie perse come tutte le guerre, la Russia e la Cina giocano la loro partita di interesse nazionale alla periferia della crisi, l’America è la guida ma anche un retroterra politico con le sue fragilità democratiche e liberali, ovvio, e Israele ha mostrato per la prima volta una debolezza politica e militare che se non sanata potrebbe diventare tragica; ma la Germania non è più quella di Schroeder, la Francia sta per liberarsi dello chiracchismo velleitario e multipolare, e persino il governo italiano e quello spagnolo si accorgeranno presto che i soldati blu possono niente di fronte al modello rivoluzionario islamista della Repubblica dei mullah. Sono passati solo cinque anni dall’11 settembre, e quasi trenta dalla vittoria di Khomeini e dall’inizio dell’offensiva maomettana, la guerra dell’islamismo politico e all’islamismo politico jihadista scavalcherà qualsiasi accordo tra Israele e palestinesi, durerà decenni.

L'autore è Giuliano Ferrara - IlFoglio.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Niente di nuovo, è il solito triste e patetico Ferrara.

25 settembre, 2006 21:01

 

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